Crowdsourcing & Geolocalizzazione

Della Social Media Week di Milano ho voluto vedere l’incontro sul Crowdsourcing e quello sulla Geolocalizzazione, in particolare.
Ho sentito cose interessanti ed altre no, cose dalle quali prendere spunto e riflettere, altre mi hanno lasciata veramente perplessa.

Il Crowdsourcing

Non è facile descrivere o spiegare le dinamiche di questo fenomeno che non è un’invenzione moderna, bensì una rivisitazione moderna di una logica sociale insita nelle persone, non di tutte, ma di molte.

Crowd = folla/persone , Source = fonte/sorgente, Outsourcing = esternalizzare un’attività al di fuori della propria impresa/organizzazione/gruppo => Crowdsourcing = utilizzo di strumenti online e/o offline che danno alle persone i mezzi per diventare fonti di sapere, informazione, aiuto, opinione, funzionamento, grazie alla loro partecipazione individuale e globale.

Ci sono persone alle quali piace rendersi utili, alle quali piace sentirsi parte di “un qualcosa di importante”, o semplicemente per poter dire la propria e per una volta essere ascoltati “dai grandi” del mondo, e ancora per condividere con tutti le proprie opinioni.

Wikipedia, l’esempio più eclatante al mondo, nonostante sia un’organizzazione no-profit (della serie i soldi non sono davvero tutto nella vita, almeno per una volta) è la più grande esperienza di crowdsourcing dell’era contemporanea, sotto gli occhi di tutti, e soprattutto utile a tutti.
Ma gli esempi di Crowdsourcing sono innumerevoli ormai, e non necessariamente solo di questi anni: 20 anni fa infatti, i newsgroup che si occupavano di software Open Source (Linux), erano già un esempio di questo fenomeno, con centinaia di volontari da tutto il mondo che partecipavano, ognuno nel suo piccolo, allo sviluppo, alla ricerca ed al miglioramento di un software appunto open source, a sorgente aperta, dove tutti potevano liberamente contribuire, per il beneficio globale.

Il Crowdsourcing, termine coniato da Jeff Howe in a June 2006 in un articolo su Wired, è diventato così una strategia multiuso efficace, conveniente ed alla portata di tutti.

Durante l’incontro relativo, alla Social Media Week (da ora SMW nel testo), hanno parlato esponenti di piattaforme Web basate appunto su questa modalità, e nonostante i loro interventi fossero forse un po’ troppo “sponsorizzati” e limitati ai loro settori di business, un concetto si è rivelato costante: alla gente piace poter contribuire con il proprio lavoro, talento o con le opinioni, e non per forza dietro un compenso economico, a volte anche solo il fatto di aver partecipato allo sviluppo od al miglioramento di un prodotto o servizio è motivo sufficiente a motivarli.
Il Crowdsourcing non è però solo miglioramento di un prodotto, o creazione di un’opera, perchè come abbiamo già visto in Wikipedia, il sapere generale è un’altra delle motivazioni che spingono gli utenti ad attivarsi in modo socialmente utile, mentre ad esempio so Yahoo Answers, l’aiuto ad altri utente è considerato un altro motivo che stimola la partecipazione, lì come su tutti quei forum e community dove si scambiano consigli, tutorial, domande e risposte liberamente.

YouTube è un altro esempio di crowdsourcing, dove l’utile e il dilettevole si uniscono creando una piattaforma popolata interamente da contenuti inseriti dagli utenti a titolo gratuito.

Questo fenomeno è estremamente ampio, i limiti non si conoscono appieno ancora (ammesso che ce ne siano), le motivazioni di questi comportamenti sociali non sono però così misteriosi, ma da ricercarsi nella natura dell’uomo, che non è sempre necessariamente individualista, ma fornito degli strumenti adatti, si rivela una fonte preziosissima di informazioni, risorse ed aiuto per gli scopi più disparati.

Geolocalization

Un termine, che proprio in Wikipedia, rimane ad oggi estremamente incompleto e direi vago.
Questo non significa che la geolocalizzazione non sia un argomento attualissimo e “HOT” (come viene definito dai Business Magazine americani), ma che sia uno strumento talmente nuovo e dai moltissimi usi, che ancora non è ben chiaro a tutti di cosa si tratti, come sfruttarla o comunque che definizione esatta darle.
Scriverò la mia definizione, senza troppe pretese.

Geolocalizzazione = tecnologia, basata su sistemi di tracking satelittare GPS e/o tramite celle telefoniche e/o tramite hotspot WiFi, che permette l’individuazione di un dispositivo (e di conseguenza del luogo in cui si trova, e dell’eventuale padrone) in qualsiasi parte del mondo.

Ad esempio, Google Maps come anche Google Latitude, ormai da tempo utilizzano la geolocalizzazione, anche quando gli smartphone non erano un fenomeno di massa ma utilizzando le normali celle telefoniche (che da sempre rendono chiunque tracciabile, ad esempio dalle Forze dell’Ordine), in particolare, nel caso in cui gli utenti fossero stati sprovvisti di GPS nel loro telefono, Google Maps sfruttava quei cellulari, dotati invece di GPS, che si connettevano al servizio, per recuperare i dati memorizzati poi nel database e utilizzarli da successive richiesta da parte di utenti senza GPS, a seconda della posizione della cella telefonica in cui si trovavano.

Adesso che gli smartphone, così come i piani internet (in Italia ancora pessimi, come ho fatto notare ad una delle responsabili di Vodafone ieri), stanno migliorando sia in termini tecnologici sia di convenienza, le possibilità legate alla geolocalizzazione stanno aumentando a dismisura.

Foursquare è l’esempio migliore, il primo servizio, seguitissimo a ruota da altri (Gowalla, Facebook Places) che permette a tutti di condividere la propria posizione in un “tap” sul loro iPhone, BlackBerry o Android. Esplode così il fenomeno geolocalizzazione. Siamo a Marzo 2009.
Con Foursquare si possono ricevere regali e sconti dai locali, bar e negozi convenzionati, a seconda dei check-in che si sono fatti in quel luogo, ricevendo anche badge virtuali a seconda delle proprie abitudini (il badge del mangiatore di pizza, se si frequentano più di 10 pizzerie, oppure un badge ricercatissimo ottenibile solo se xx persone fanno il check-in nello stesso posto contemporaneamente, ecc.).

Qualcuno si chiede il perchè, altri non hanno voglia di far sapere a tutti dove si trovano, altri muoiono dalla voglia di essere spiati, altri si preoccupano di dove stia finendo la privacy, mettiamo quindi una cosa in chiaro: nessuno obbliga nessuno a condividere informazioni, il fatto inattaccabile è però che alla gente PIACE condividere, con i propri amici (ed in alcuni casi con chiunque), le proprie cose, i proprio luogi, foto, gusti ecc.
Facebook ha ormai provato questo fatto, in modo direi scientifico, con i suoi 600 milioni di utenti (se fosse un Paese sarebbe il 2° più grande al mondo dopo la Cina),c he quotidianamente pubblicano, condividono e rilasciano volontariamente informazioni personali, delle quali in ogni caso sono padroni in termini di privacy e visibilità (chi vede cosa e come).

L’ultima considerazione che voglio fare in questo articolo è che la società è cambiata e sta continuando a farlo, le imprese devono andare al passo o sprofondare in una dimensione oscura, ignorata e dimenticata; chi si oppone a questo dinamismo non ha scelta se non quella di isolarsi e guardare il futuro diventare passato, molto, molto velocemente.